Viaggio al centro


Le visioni di Albert, le spedizioni senza meta di Nero, lavoluttà tattile e olfattiva che la carta gli dava e quei mojito a El Petitbomentre passava le sere a far capire a Jessi, Max, Ruben e Sebastiancosa esattamente la sua terra fosse. Ecco cosa gli si palesò quella notte.

...terra abbandonata troppo presto, ma sufficientemente tardi pernon avere avuto il tempo di diventare malattia silente ed incurabile.E poi quel lampo. Uno di quelli che gli danno da vivere ma, comeè tipico dei lampi, ce n’è sempre uno che sorprende e che arrivaquando oramai ci si è abituati a tutti gli altri. Smisurata scarica dienergia, improvvisa, ma risultante di una lunga sedimentazione diricordi, viaggi, vissuti e di un’anima affamata di bellezza da prendere,trasformare e regalare. Subito dopo vede se stesso in quella notte, lapiù nera che abbia mai vissuto, mentre trascina con fatica le sue milledomande e i suoi pesanti pensieri. << Sono stanco di dover lottare per ogni cosa... tutto è complicato,contorto... una continua lotta contro tutto e tutti, mai una via facile,lineare... tutto è salite ripidissime e discese vertiginose che stentipersino a stare in piedi, mille avversità, battaglie, sofferenze, lacrime...forse ho sbagliato tutto... forse dovevo... forse se...>> Per affogare sceglie un momento senza stagione e lascia decidereil luogo su una carta alla punta del suo dito, tanto ciò che importa èevadere. Ma l’indice, per sua natura, sa sempre dove è giusto andaree sceglie un sentiero che parte dall’antica Engyon, e da lì muove versosud. Nell’affanno di quei ragionamenti e quesiti a cui è folle pretenderedi trovare lucide, immediate risposte, senza tregua la mente continua arimbalzare in modo automatico, attraverso l’album della vita, ritraendoprove, crisi, sacrifici, persone, scelte ardue, cambi di direzione. Incede senza meta sperando che con l’arrivo del mattino tutto gliappaia più chiaro, più semplice. Il mattino arriva, ma solo per far lucesulla sua condizione, mostrandogli cinicamente che i pensieri e i dubbisono sempre con lui, che in certi casi la notte può non essere affattoefficace nella missione di consigliera e che la sua resa e il suo vagaresenza rotta sono quanto di più reale e concreto abbia finora vissuto.

Il sole è oramai abbastanza alto sull’orizzonte da aver quasi azzeratole ombre. Per la prima volta da quando è partito decide di osservareall’esterno di sè, come un periscopio emerso dagli abissi. Era giunto nelle terre del niente, dove il tempo è lento, talmentelento che si fa prima a definirlo fermo e la vita bloccata in un fermoimmagine che riprende vita solo quando si entra a farne parte. Dovesolo il vento è mobile e serve ad alimentare il pensiero che tuttoè fermo. Dove non sei solo con la natura, sei solo e basta. Con losguardo cerca l’uomo ma l’uomo non esiste. Uniche entità: rari, isolaticilindri, vasche, ruderi mimetici e sinusoidi scavate da denti d’acciaiosulla terra arida e cretosa. Tutte le tinte dell’ocra, sterpaglie sparse,cardi secchi e asfodeli arsi, sparuti cespugli di finocchietto striminzito.Il sole è al suo colmo, la luce schiacciante, la sequenza infinita dipendìi alienante, il paesaggio monotono ed ipnotizzante. Il respirosi affanna, gli occhi gli bruciano per la polvere e il sudore, il sonno ela sete lo sopraffanno, diventando bisogno ossessivo, ma nell’unicobiviere incontrato l’acqua emetteva un tanfo fetido. Stremato continua a vagare. E nell’esatto momento in cui si accorge che i bisogni primordialihanno vinto la partita contro tutti gli altri, ecco l’inaspettato. Alza lo sguardo e si accorge che dove è arrivato il paesaggio èdrasticamente diverso da quanto ha attraversato finora. Il fiumespacca in due alla base una balza, creando improvvisamente una ripidastrettoia rocciosa fatta di inusuali formazioni che creano profondezone d’ombra. È perfetto e senza il minimo indugio lì corre a rifugiarsi,sicuro di poter avere finalmente una tregua da fatica e pensieri. Gli ultimi due dei ventimila e più passi fatti e potrà abbandonare lemembra al riposo. Si accorgerà da subito che quelli sarebbero stati invece i primi duepassi dentro una nuova sconvolgente dimensione. Il luogo che immaginava un’oasi è un orrido e si manifesta ai suoiocchi come un posto inquietante ma ammaliante, ed un concentratoabnorme di tensioni che da subito lo prendono a schiaffi, rapendolo.

È il trionfo delle varietà petrografiche: calcare, arenaria, argilla,conglomerati, gesso, zolfo, sabbia, sale si alternano combinandosie cedendo l’uno il posto all’altro con magistrale sintonia. Ogni tipodi roccia e ogni pietra sembra composta da ogni possibile minerale,forma, colore. Nessuna è uguale all’altra. Qui non esistono piani orizzontali né verticali, tutto è fortementeinclinato, ed una mastodontica parete di roccia sovrasta l’alveo e vacosì in negativo da sentirne addosso tutto quanto il peso e moriresolo alla vista. L’inclinazione decisa delle rocce urla tutta la voglia elo sforzo che questa terra deve metterci per emergere e manifestarein superficie ciò che porta con sè dal centro del pianeta, sfoggiandospettacolari geometrie e sfumature di colori.

Sente l’acqua. In un baleno si sveste e avidamente la cerca. La trovanel fiume ma anch’essa è complice di questa grottesca esibizionenaturale. Qui il concetto di acqua pura, insapore, inodore, incolore,figurarsi, non può esistere! La trova piuttosto proporsi maliziosamentein altre molteplici forme in cui è presente in natura. Grigio creta.Rosso ossido. Finalmente trasparente. D’istinto ci si tuffa scompostoe, alla sensazione di salato e alla visione di una piantina stracolmadi pomodori, nata da sè sulle sponde di quel fiume dentro cui nonpuò esistere forma di vita all’infuori della villosa bardana, dubitafortemente di essere desto. La cerca a valle. È bianca. Una bocca sulla sponda destra la vomitasulfurea, in concentrazioni così elevate da saturare anche l’aria inprossimità. Il fondale un ammasso di molle gelatina impalpabile, bianca come il latte o nera come la pece. Anche il suo flusso quinon ha vita facile. Deve dimenarsi, lottare, sbattere, precipitare perpoter fluire e procedere verso valle, insinuandosi caparbiamente trai colossali macigni che sembrano crollati su di essa per ostacolarla e,dispettosamente, farne variare continuamente il percorso.

Tutto pare essere la materializzione di contrasti, lotte, cambi didirezione, assenza di una condizione di calma, di normalità. Tutto pare convincerlo a scapparsene via e a cancellare per semprela memoria anche di questo luogo. Ma il gigantesco pathos generato da quell’alchimia perfetta di doloree forza vitale è ancora più potente e lo attira, lo scuote, lo travolge e,all’improvviso, si tramuta in una gran luce che gli si accende dentroassieme ad una condizione di piena consapevolezza.

Sente che tutto ciò può avere un solo nome. E rompendo il pesanteumano silenzio, con tutta la forza che gli è rimasta, tra le alte paretiriverberanti la chiama, scandendone delicatamente le sillabe: <<BEL-LEZ-ZA>>

Il nuovo giorno si rimetterà in cammino seguendo il corso delfiume salato, tirando dritto come attratto da un’ignota forza di gravità.Non lo sa, ma sta lasciandosi alle spalle quello che localmente vieneconosciuto come “L’Orrido del Cigno”. Pare che una volta qui nesia stato visto un rarissimo esemplare venuto da terre molto lontane,atterrato casualmente tra le strette gole per riposare le ali. Era a solo un giorno di cammino dalla sicana Sabucina.Dai santuari indigeni della Grande Madre. Dal centro esatto della Sicilia. Dal centro esatto di sè. 


Testo di  Luca di Giacomo



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