La linea pensata

Per vedere una linea occorre immaginare, calcolare ladistanza tra due punti, uno di fronte all’altro, restare per qualcheminuto con lo sguardo all’insù e iniziare a camminare con il pensiero.La linea connette, costruisce una via, genera la possibilità di unattraversamento: non è ferma, si intreccia, si flette, è essa stessa movimento.La mente disegna spesso linee in luoghi inimmaginabili e, coltivarel’esercizio delle possibilità, allena a guardare sempre oltre l’orizzonte. Per costruire una linea occorre pazienza, determinazione ed esperienza.C’è tutto un linguaggio che sta alla base di questa pratica: a un primoascolto le parole sembrano nomi in codice, poi impari a capire come ognitermine fa parte di un vocabolario comune che è essenziale conoscere. È un sapere che si trasmette e si acquisisce con la pratica insieme aldesiderio di scalare, di sentirsi parte di un paesaggio che prima vedevisolo dal basso. Le montagne si definiscono dalle loro cime e quel checonta è sempre la verticalità. Lo slacklining è uno stile di vita, è un modo di vedere le cose, dipercepire il proprio corpo tutto, ogni articolazione, ogni muscolo masoprattutto è la condivisione di un’esperienza che rafforza le relazioniumane. C’è la fatica della salita, il trasporto dei materiali, i discorsitecnici e quelli appassionati, le aspettative, la tensione che cresce.Ci sono degli obiettivi che si condividono e delle relazioni che siannodano durante la scalata. Scegliere un luogo e tracciare una linea è un atto di appropriazionetemporanea, è afferrare il desiderio di percorrere una via effimera,una strada sospesa che connette e poi scompare. Una sfida che parlaalla natura, al desiderio di creare percorsi dove non esistono, ad aprirepossibilità e sentieri rettilinei che fino a ora la mente poteva soloimmaginare. Progettare, costruire e percorrere una linea è desiderio,utopia e concretezza allo stesso tempo. A terra appartieni alla città e alla campagna, ogni movimentoè un’impronta, un’iscrizione che traccia un percorso, su unahighline il paesaggio a cui pensi di appartenere è il cielo, le nuvole,l’orizzonte e il silenzio. Cambia la prospettiva, cambia il modo di procedere, entri inrelazione con il vuoto che ti circonda a destra, a sinistra e inbasso: quel vuoto diventa il paesaggio in cui sei immerso comeper un nuotatore il suo habitat è l’acqua o per un aviatore il cielo. C’è una tensione che cresce e la mente che si svuota. Restare inequilibrio è una forma di meditazione e al contempo un eserciziodi scoperta del corpo stesso, di propriocezione e aggiustamento. Mentre insegui l’idea di un equilibrio che è allo stesso tempomentale e fisico ti sembra di afferrare tutta la città dall’alto. Ogni tappa è una relazione sempre differente con il paesaggio,con le difficoltà che incontri nel raggiungere la cima, nel costruirela linea. Scegliere un luogo significa anche leggerlo, conoscerlo.Da quella vetta di Palermo, conosciuta come Monte Gallo, tiscontri con quell’insieme di natura e cultura e con l’apocalitticaprogettazione urbana che ha edificato negli anni settanta queglischeletri di abitazione ancora oggi visibili e disabitati, l’utopiadi poter possedere da quelle finestre un paesaggio da cartolina,la vendita di un sogno andato in malora. Le case di Pizzo Sellasono ancora una ferita che crea una frattura visiva, urbana emorale alla montagna e a tutta la città. Fanno a pugni con ilmare che sta in basso, con la montagna in alto che protegge. Una linea non più immaginariacon un uomo in equilibrodiventa allora atto di scrittura eriappropriazione di uno spazio. Un gesto che si fa paesaggio,un corpo in equilibrio che cammina in silenzio. 

Testo di Marco Mondino



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